LE MIE PAROLE - IL MIO ARTICOLO

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Devo raccogliere le margheritepubblicato su: IN OUT - La lista della spesa | maggio 2007
è tempo di raccogliere fiori dal mio giardino>>>
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Devo raccoglierne per il primo di maggio. Mi piace vedere il mio paese svegliarsi profumato, con i marciapiedi tappezzati di petali festanti. Fiori sul cemento; colore sul grigio. La campagna e la natura che invade le banchine e il piano regolatore urbano. Le strade nere d’asfalto e gomma bruciata che si aprono su ali colorate di giallo, bianco; del rosso di ridenti boccioli.
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E’ il colore delle bandiere dei lavoratori; anche del sangue di chi ci lascia le penne per un salario spesso misero e senza alcuna tutela. Volendo, dopo aver spalmato di papaveri i marciapiedi, farei appena in tempo a partecipare al corteo dei lavoratori che parte dalle Latomie del Paradiso per giungere a mezzogiorno a Piazza Archimede tra le bandiere rosse.
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Mi dicono che non c’è alcun corteo, e per i fiori bisogna chiedere un particolare permesso e avere una regolare autorizzazione, perché si sporcano le strade. Niente da fare. Ma cos’è che ci sta succedendo? Ma quando ci sveglieremo dal torpore? Niente più fiori, niente cortei. Certo, effettivamente le strade devono poter rimanere pulite e libere per l’invasione di ossido di carbonio e di polveri sottili, e per i cortei…ci si stanca a fare tutta quella strada a piedi; magari si potesse fare in moto un bel corteo. Niente: una bella coda di tre ore in autostrada è certamente più rilassante.
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Ne porterò un paio alla Madonna; è il fiore a lei gradito. Mi fermerò giusto qualche minuto per meditare su queste mie giornate noiose; a riflettere sui tristi marciapiedi disadorni, sulla sinistra italiana, oramai così democratica da rifiutare le camminate e lo sventolio di bandiere rosse; cose da operai.
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Nel breve volgere di un secondo, passiamo dalla venerazione della purezza e della santità femminile della Madonna, al maschilismo più becero e negletto. Siamo così i terroni. La nostra donna viene a trovarsi sempre pericolosamente oscillante in una condizione di santa e di puttana. Laddove è in odore di misticismo tutto ciò che quest’ essere possa mettere in atto per il proprio uomo, è sicuramente buttanaggine valutare i medesimi atteggiamenti rivolti ad altri uomini. Secoli di tradizione popolare si è scolpita a sangue nel nostro emisfero sinistro, e ci porta sempre e comunque a confondere le carte; gli adagi, i proverbi, i motti…tutto congiura per la diffidenza totale su questa purulenta purezza . ‘U masculu è meli, ‘a fimmina è feli! Brancoliamo da secoli in questa fiamma dell’inferno: Di lu mari nasci lu sali, di la fimmina ogni mali. Definitivo; senza possibilità di replica! O, ancora peggio, ‘A fimmina teni quattro banneri, carzara, malatia, furca e galeri!
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Mi piace accarezzare un pensiero di bellezza, di costanza e di dolce poesia. Ricordare la donna in quanto sposa e madre. Non so, e non mi importa di sapere se Annamaria Franzoni sia colpevole o innocente. Mi basta sapere che è una madre che ha perso il suo bambino, per avere tutta la mia compassione e solidarietà. Io, per fortuna mia e dei tribunali, non faccio il giudice. Sarei una frana. Io canto storie e canzoni per strada. Niente di più inaffidabile! Io immagino questa donna cantare una Ninna Nanna al suo Samuele. Una cantilena lenta e struggente; sommessa e sacrificale; come doveva essere il canto dei sacrifici a Dioniso sul Citerone. Da noi ninnananna si dice anche ‘u viersu; con quel particolare lemma ambiguo che, anche in italiano, sta ad indicare il verso di una poesia e, nello stesso tempo, il verso giusto, come versante, possibile strada per una migliore soluzione. Le nostre madri tagliavano in due le stanze con le nache a volu; queste culle volanti assicurate alle pareti con grosse corde. Poi, con una cordicella più piccola, ci facevano ‘u viersu: lu papa ha gghjutu a caccia, a sparari lu ciccì; lu ciccì si nn’abbulau e o figghiu beddu lu sonno calau. Probabilmente il primo canto che l’uomo abbia avuto l’esigenza di dedicare ad un proprio simile è stato il canto di una madre al suo picciriddo. Il canto che per eccellenza lega la creatura alla sua matri, e la matri alla sua terra. Ed è singolare che oggi abbiamo affidato alla tv il compito di addormentare i nostri figli. Nostra madre Tv.
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Una donna non si maltratta. Mai. Un uomo d’onore non sfiorerebbe (il verbo non è casuale!) la sua donna nemmeno con un fiore. Ahime! Accade più spesso di quanto si possa immaginare. E fa sempre una certa impressione assistere a quanto certe donne rimangano legate, in un silenzio senza più lacrime, all’uomo che le fa soffrire. Mi viene in mente la fattura di una majara per la donna che non vuole perdere suo marito; componimento raccolto tempo fa dal grande storico palazzolese Luigi Lombardo:
Sancu ti dugnu di lu mè cunnu;
maritu tu m’ha ‘ssiri ppi tuttu ‘u munnu.
Sancu ti dugnu di li mè vini,
maritu tu m’ha ‘ssiri finu alla fini.
Sancu ti dugnu di li mè ossa,
maritu tu m’ha ‘ssiri ‘nsinu a la fossa.
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Rivista LE FATE

Sono stato coinvolto in questa avventura editoriale da Alina Catrinoiu, una ragazza rumena che ha scelto la Sicilia come sua patria d’elezione. Mi ha convinto dell’esigenza di mettere per iscritto e in buona grafia i nostri pensieri, i sogni, le visioni. Noi che, insieme a tanti altri, abbiamo deciso per la nostra Isola, non l’amore incondizionato, irrazionale, fanatico, nostalgico-folk, ma il rispetto per la memoria, il territorio, la cultura e le persone. Abbiamo messo insieme una squadra di donne e uomini (molte di più le donne, per la verità…qui c’è una quota azzurra che andrebbe sostenuta…), organizzati per macro-aree, la musica, l’arte, la letteratura, il cinema, la fotografia, la cultura d’impresa…e abbiamo dato forma grafica ai nostri desideri, alle nostre parole. Ho scelto il nome de Le Fate perché sono caratterialmente attratto dal mondo invisibile e dai suoi significati, e perché sono alla ricerca di quel mondo che a volte vedo distintamente. A volte appena sopra l’orizzonte, a volte sotto i nostri piedi. In ogni paese del mondo c’è un regno delle Fate, fra le pareti delle antiche caverne dimora di monaci bizantini…. o sulle ali delle farfalle che planano sulle zagare degli aranci in primavera; tra i labirinti di luce di un antica masseria con le finestre ferite dal vento o sulle lingue di fuoco che ardono nei rosari delle donne in preghiera. Nelle rime di una filastrocca urlata dai carusi per la strada, o nei sospiri di una ninna-nanna a una picciridda ccu l’occhi sbarati tanti che non vuole dormire Oggi le abbiamo dimenticate, ma non per questo Le Fate non esistono. Soltanto i sogni, talvolta, ne danno testimonianza. Nello stato di semi-coscienza tornano a popolare i nostri pensieri, ci consolano, leniscono le ferite del giorno con le loro carezze. Ma riappaiono anche ad occhi aperti, quando la fervida speranza nella nostra memoria le svela da un arcaico silenzio; e allora ecco che languide melodie si librano, se le sai ascoltare, intonate dal sospiro del loro volto pallido. Non aver paura, non aggrottare le tue ciglia, non porti inutili domande; accoglile senza remore. Loro sono delicate e molto discrete, potrebbero fuggire per non tornare mai più.

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